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Il problema del personale stagionale

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Tutto ciò che ci irrita negli altri può condurre ad una maggiore comprensione di noi stessi.

Carl Gustav Jung

Nel corso di questa stagione estiva 2023, abbiamo constatato che diversi clienti hanno riscontrato mancanza di professionalità nel nostro personale. Di questo ci dispiace e chiediamo scusa per il fastidio causato loro, che la sua causa sia più o meno imputabile direttamente a noi. Su questo diremo di più nel corso di questo post. Non siamo mai stati perfetti, nemmeno negli anni precedenti, e l’attuale situazione del mercato del lavoro non ci dà una mano. Tuttavia, mai il livello di polemica ha raggiunto toni così violenti e sgradevoli.

Ad accusare lacune è soprattutto il personale del turno serale. Guarda caso, si tratta della fascia oraria in cui si conta la massima presenza di personale di colore. A tal proposito, abbiamo individuato tre recensioni, pubblicate sul noto portale TripAdvisor, i cui autori presumono che la motivazione della presenza di così tante persone di colore sia il tentativo di risparmio sul costo del personale.
Tale supposizione ci è parsa così significativa, oltre che inopportuna, che -in qualità di responsabile del personale- ho deciso di scrivere un post per affrontare il problema della stagionalità e della massiccia presenza straniera nel nostro staff.

Nutro la speranza che i problemi che discuterò non paiano campati in aria, se verrà letto da qualche persona di buon senso.

La presenza straniera nel nostro staff: numeri e tendenze

Iniziamo con dei numeri.

In piena stagione, la presenza straniera nel nostro staff, su un totale di ben 46 dipendenti regolarmente assunti,
si suddivideva per nazione in questo modo:

  • 13 persone senegalesi (2 in produzione e ben 11 alla vendita, di cui 4 nel turno della mattina e 7 nel turno serale)
  • 3 persone siriane (in produzione)
  • 2 persone indiane (riordino della sala nel turno della mattina)
  • 2 persone rumene (1 in produzione, 1 in sala nel turno serale)
  • 1 persona palestinese (in sala nel turno serale)

Su un totale di 46 dipendenti, quindi, 25 sono italiani. Aggiungendo 6 titolari attivamente coinvolti nel lavoro quotidiano, fra cui il sottoscritto, arriviamo a 31 italiani e 21 stranieri in forza alla nostra azienda. Una netta maggioranza italiana, per cominciare. e ci preme sottolineare che molti dei lavori assegnati agli italiani non sono da operaio estremamente qualificato, il che avrebbe reso ancora più semplice, qualora lo scopo della presenza di tanto personale di colore fosse stato il risparmio, assumerne ancora di più ed abbassare il salario.

Dall’elenco sopra, è anche chiaro che a colpire i nostri clienti siano le persone senegalesi, non fosse altro che le presenze rumena, indiana e mediorientale sono stabili da diversi anni nel nostro organico; anzi, quella indiana è diminuita significativamente negli ultimi due anni, soprattuto al servizio clienti. Eppure non abbiamo mai ricevuto recensioni virulente come quelle lette quest’anno, nemmeno quando avevamo tre o quattro persone indiane in sala, anche durante gli orari del servizio al tavolo.

Ne consegue, per logica, che rimangono solo due possibilità, per spiegare il tono di alcune opinioni:

  • i nostri ragazzi senegalesi -e solo loro- sono particolarmente poco professionali, fino al punto da far pensare ai nostri clienti che, assumendo loro invece di dipendenti italiani negli stessi ruoli, possiamo permetterci di abbassare le retribuzioni
  • è la pelle nera dei nostri collaboratori senegalesi ad eccitare la fantasia di chi scrive, in particolare nel turno della sera, in cui la loro presenza è stata particolarmente accentuata quest’anno.

Poiché non posso parlare di ciascun cliente individualmente, mi limiterò a smontare la prima tesi. Fatto questo, o resta in piedi solo la seconda, oppure qualcuno deve suggerirmi una terza possibilità. Possibilità che, pur avendo posto il problema già a diverse persone, nessuno è stato ancora in grado di fornirmi.
Viste le voci ascoltate nel corso dell’estate, anche da parte di persone che si definiscono “di cultura” o “progredite”, sono abbastanza convinto che quello che sia all’opera, chiamato col proprio nome, sia puro e semplice razzismo: le persone credono di vedere nella nostra azienda, senza averne prove, una tendenza alla discriminazione razziale che esiste ad ampio spettro nella nostra società, nonostante il perbenismo di facciata dei discorsi da salotto; concludono perciò che nessuno possa essere esente da tale tendenza alla discriminazione e la attribuiscono anche a noi quando, forse, dovrebbero far fare al dito che ci puntano contro un giro di 180 gradi…

Il problema delle risorse umane stagionali

Non è un mistero per nessuno che la presenza di giovani italiani sul mercato del lavoro attuale sia in costante diminuzione da anni, soprattutto quando si tratta di lavori nel settore dell’ospitalità e della ristorazione. Ho già affrontato il problema altrove. Da un lato, esiste un generale problema demografico, dovuto all’invecchiamento della popolazione italiana, che complica non poco la ricerca di forza lavoro fresca da inserire in organico. Dall’altro, per qualche motivo, la pandemia di Covid-19 ha accelerato una tendenza alla disaffezione verso i lavori nella ristorazione che era in atto già precedentemente (ne parlava sempre mio padre, responsabile del personale prima di me) e che rende il nostro compito sempre più difficile.
Dico volutamente giovani italiani perché è tra di loro che si individuavano più facilmente uomini e donne disposti a lavorare fino a notte inoltrata (in estate chiudiamo alle 02.00). E’ del tutto comprensibile che chi ha famiglia, soprattutto se donna, prediliga orari di lavoro diurni e/o pomeridiani, se ha la possibilità di scegliere.
In passato, in particolare da quando ho sostituito mio padre nella gestione del personale, lo staff serale è stato quasi sempre composto da gruppi di italiani/e, con un’inversione di tendenza manifestatasi improvvisamente negli ultimi due anni.

Vorrei ora concentrarmi sullo sforzo di spiegare, in poche righe, le difficoltà che si incontrano dopo il reclutamento di una risorsa umana stagionale, mentre si è in corso d’opera. Passerò solo in seguito all’analisi delle differenze -reali e presunte- fra senegalesi ed italiani.

Il discorso professionalità, in un contesto stagionale, è molto pellegrino. Ciò vale particolarmente per i lavori caotici e concentrati nel tempo come quello che noi svolgiamo, in particolare nel mese di Agosto, in cui da sempre si registra la stragrande maggioranza di opinioni negative sul nostro operato.
Una volta che una persona viene assunta a inizio stagione, c’è appena il tempo di addestrarla nelle mansioni di base prima che inizi la scalata verso picchi di lavoro sempre più intensi. Passata la seconda settimana dopo Ferragosto, poi, il ritmo si normalizza nuovamente e la stagione è terminata. E’ un po’ come chiedere di correre i 100 metri piani ad una persona con cui si sono fatte delle corsette di prova con qualche scatto qua e là, basandosi perlopiù sulla fiducia: può darsi che il soggetto sia sufficientemente in forma e serio da affrontare benissimo l’allenamento occasionale, ma che le performance si deteriorino notevolmente quando è sottoposto a stress continuativo. Performare al top ogni giorno, semplicemente, non è per tutti.
Per fortuna, possiamo contare da anni su un nucleo di collaboratori, presenti da noi tutto l’anno, ai quali possiamo delegare diverse responsabilità, stando certi che le eseguiranno nel nostro migliore interesse. Purtroppo, loro da soli non possono risolvere tutti i nostri problemi, per il semplice fatto che siamo un’attività situata sul mare, che produce l’80% del fatturato annuale in 4 mesi, di cui il 33%, ossia ben un terzo, nel solo mese di Agosto.
E’ evidente che abbiamo la necessità di reclutare molte risorse umane puramente di passaggio. Anche desiderando investire maggiore tempo nel testarle e addestrarle in vista di una stagione, ne mancano materialmente le possibilità. Per sua natura, l’addestramento di un commesso o di un cameriere non può essere teorico: la sua capacità di gestire lo stress e di lavorare in squadra si possono vedere solo sul campo. Non è affatto infrequente che una persona che dà buona prova di sé nei weekend di bassa stagione si dimostri fragile e fallibile quando l’intensità lavorativa di una manciata di giorni primaverili è richiesta ogni giorno della settimana. E non ci sono opportunità di testare questo prima che la stagione sia partita, perché Torre dell’Orso non offre una tale continuità lavorativa, almeno finché i villaggi e case in affitto non si riempiono di turisti.
A quel punto, però, il contratto di lavoro è fatto e le opzioni disponibili in giro non sono incoraggianti: sostituire un’unità implica andare a pescare persone che non sono state selezionate da altre attività, probabilmente per validi motivi, ma il problema di formarli adeguatamente resta; semplicemente, diviene ancora più difficile. Si sono verificati casi felici del genere, nel corso degli anni, ma le probabilità ci giocano contro: statisticamente, su 20 gettati in acque già mosse, 19 affogano e solo uno impara a nuotare bene o benino, resistendo fino in fondo.
Per questo motivo, stante la capacità -appurata o presunta- di una persona di arrivare a fine stagione senza creare grossi problemi al gruppo in cui lavora, un approccio conservativo è spesso il male minore, se ammettiamo che lo scopo dell’azienda sia di restare aperta e di fornire il massimo numero di servizi e prodotti di cui è capace.

Fa eccezione un solo caso: una persona maleducata o piantagrane, che faccia da mina vagante nel suo gruppo di lavoro. Si tratta del genere di ramo che va tagliato quanto prima possibile, senza rimpianto alcuno.

Ci sarebbe molto altro da spiegare sul problema delle risorse umane stagionali, ma mi fermo per brevità.

Perché tanto personale di colore?

E’ presto detto: la maggiore affidabilità (in media, ovviamente), garantita dalla loro struttura familiare e dalla loro motivazione principale.

Per i motivi descritti sopra, chi legge dovrebbe aver compreso almeno due cose:

  • il lavoro in un’attività stagionale che serve grandi volumi di clienti, come la nostra, non è per tutti
  • è difficile testare adeguatamente una risorsa per essere certi che possegga i requisiti di serietà, educazione e resistenza allo stress richiesti per affrontare al meglio una stagione estiva

Di fronte a tanta incertezza, è chiaro che l’affidabilità sia la variabile a cui attribuire il maggior peso, quando si decide se assumere, tenere in squadra o licenziare una persona. Per affidabilità si intende la probabilità, più o meno elevata, di portare a termine una stagione senza piantare grane. Un collaboratore anche lento o poco preciso nel suo lavoro, ma educato e che lavori per quattro o per tre mesi pieni, a seconda degli accordi presi, è da preferire sempre ad una “prima donna” che funzioni a sprazzi o a uno degli innumerevoli individui (e qui rientrano tantissimi nostri connazionali) per cui tutto va bene fino a fine Luglio, poi si salvi chi può…

E qui veniamo alla ragione per cui le persone di colore sono state da me preferite, in molti casi, ai loro equivalenti italiani, che è quasi l’opposto di quello che ritiene chi ci lancia addosso certe supposizioni campate in aria. Il motivo non è né che sono migliori di noi a svolgere il loro lavoro né che sono più economici, a parità di qualità del lavoro svolto. Al contrario, la capacità di negoziazione di un popolo che, come tutti possiamo osservare sulle nostre spiagge, vive di commercio, è molto migliore di quella di tanti italiani.
Tuttavia, ed è questa la chiave, le loro opzioni sono limitate e la loro motivazione è unica: uno stipendio chiaro e certo. A parità di tale garanzia da parte nostra, abbiamo constatato che è statisticamente molto più probabile tenere al proprio fianco un senegalese che non un italiano.
Checché se ne dica, un giovane nostrano ha molti più grilli per la testa: desidera uno stipendio congruo, ma non ne ha poi tanto bisogno se deve lavorare fino a notte fonda, soprattuto ad Agosto; vuole “farsi la stagione”, ma solo se lavora esclusivamente la mattina, perché non può rinunciare all’uscita serale; e poi, dicendocela tutta, se l’italiano lascia ha (ancora per adesso) una rete protettiva che gli consente di cadere in piedi. Non parliamo della serietà nei confronti degli accordi presi, che non è più una preoccupazione delle nostre giovani generazioni -né dei loro genitori- da molto tempo.
Un immigrato senegalese che deve guadagnarsi una reputazione non ha niente di tutto ciò, quindi il suo comportamento sul posto di lavoro è mono-motivato: percepire lo stipendio. Non è peggiore né migliore, umanamente; semplicemente, l’ambiente in cui vive lo induce a concentrare il suo sforzo su un solo scopo, che sa di conseguire con noi, grazie al passaparola dei collaboratori suoi connazionali che lo hanno già preceduto nel nostro organico negl corso degli anni, che ci dipingono come datori di lavoro seri.

L’affidabilità non è una caratteristica tipica solo di chi vive in condizioni difficili. Apparteneva anche alla famiglia italiana meridionale di non troppo tempo fa. Nato nel 1986, appartengo all’ultima generazione che è cresciuta libera dall’influenza dei social e dell’illusione della vita facile e senza difficoltà, motivo per cui ricordo queste dinamiche anche nel nostro tessuto sociale. Col tempo, le ho viste deteriorarsi, fin quasi a sparire. Nell’era dei post sui social e del commercio online, tutto è facilmente sostituibile e perde valore, dal capo che si rende a Zalando senza necessità di nessuna motivazione o interazione umana, fino anche al posto di lavoro che si abbandona senza rimpianti a metà stagione.

Domandona: la persona di colore è quindi “migliore” dell’italiano, in qualunque senso? Assolutamente no. La persona di colore è, statisticamente (ovvio, statisticamente) maggiormente probabile fino alla fine, perché lavora, nella maggioranza dei casi, esclusivamente per i soldi e sa che molto difficilmente potrà essere pagata meglio che da Dentoni, dove percepisce lo stesso stipendio di un bianco di pari livello, oltre a non avere alle spalle una famiglia che la supporterà qualora venisse meno all’impegno.
Peraltro, data la natura autoritaria del rapporto padre-figlio nella famiglia patriarcale musulmana, alla quale appartiene la totalità dei nostri collaboratori senegalesi, la probabilità di non perderseli per strada aumenta a dismisura qualora siano buoni i nostri rapporti con il familiare che li indirizza a lavorare da noi, come è il caso per diversi operai; se la raccomandazione proviene da un fratello di sangue, il padre spesso delega ad esso la gestione del rapporto col datore di lavoro; ciò in quanto la famiglia musulmana, oltre all’autoritarismo del rapporto genitore-figlio, è caratterizzata dalla parità tra fratelli maschi, che si manifesta anche nella condivisione del compito educativo verso figli e nipoti.

Specificità del 2023

Non c’è dubbio che, nel corso degli scorsi Luglio e Agosto, alcuni dei nostri collaboratori di colore non abbiano brillato per empatia verso il pubblico e per efficienza sul lavoro: stante la loro visione di base della vita, che è senza ombra di dubbio molto più rilassata di quella di noi occidentali, il che non aiuta ad essere il massimo dell’efficienza in lavori come il nostro, esistono differenze importanti anche fra individui senegalesi, come è naturale che sia.
Di alcuni di loro siamo orgogliosi e contenti, nonché desiderosi di accoglierli nuovamente a braccia aperte in squadra nel 2024. Di alcuni di loro siamo molto meno orgogliosi, perché sappiamo che hanno spesso dato l’impressione di comportarsi con sufficienza e di operare con eccessiva lentezza, inducendo qualcuno a dedurre che vengano “sfruttati”. La mancata padronanza della lingua italiana da parte di alcuni di loro non ha certamente aiutato, quando si sono trovati ad avere a che fare con delle domande poste da alcuni nostri clienti, probabilmente a loro volta comprensibilmente indispettiti dalla confusione in cui si trovavano nelle ore di punta.
Il motivo per cui sono stati comunque trattenuti in squadra dovrebbe essere chiaro dalle considerazioni pragmatiche che ho enunciato in precedenza, alle quali mi vedo costretto ad attenermi per puro realismo e pragmatismo.
Preciso ancora che le medesime situazioni di scontentezza -nostra prima che dei nostri clienti- in merito a commessi e camerieri stagionali sono vecchie quanto la nostra attività, ma sono senz’altro balzate meno all’occhio, forse perché di colorito più “pallido”, anche se di sostanza non diversa.

Concludo rinnovando il nostro impegno a ripetere, per la prossima, quarantatreesima stagione, la ricerca di personale empatico e volenteroso, che possa far sentire a casa gli avventori di Dentoni.

Confido di aver risposto compiutamente, per chi ha occhi per leggere e buon senso per intendere, alle critiche capziose e offensive che ci sono state rivolte.

Mirko Serino


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