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Ode ad R+

fratelli karamazov

Ode ad R+

Riporto qui l’omaggio in prosa che sono stato ispirato a scrivere durante l’ultima notte passata alle Tenute Al Bano, alla fine del meeting che abbiamo descritto altrove, in italiano ed in inglese, su questo stesso blog, durante il quale ho avuto il privilegio di conoscere alcune fra le persone più interessanti mai incontrate nella mia vita e di vivere una delle esperienze più intellettualmente e umanamente stimolanti che abbia mai attraversato.

Non sempre ciò che è scritto potrà essere immediatamente chiaro a chi non abbia partecipato all’incontro, in quanto lo stile è quello del flusso di coscienza, in cui sono il lettore/ascoltatore di me stesso, né tantomeno a chi non stia seguendo attentamente le vicende del conflitto in Ucraina, che io seguo da mesi e che non cessa di lasciarmi shockato, non tanto per la constatazione del conflitto in sé, quanto per l’atteggiamento che noi come Europa abbiamo adottato verso il problema.
Qualora qualcuno fosse interessato a comprendermi meglio, una descrizione meno introspettiva dell’incontro è stata data in un altro articolo su questo stesso blog, a sua volta disponibile sia in italiano che in inglese.

Alcune espressioni inglesi come path dependence e optionality sono state tradotte con perifrasi italiane, perché mal si prestano ad essere rese con degli equivalenti esatti, essendo nate nella letteratura anglosassone sul rischio e sulla probabilità. Il posto migliore per familiarizzare con uesti concetti a livello esclusivamente concettuale sono i libri di Nassim Taleb, in particolare Giocati dal caso, Il Cigno Nero e Antigragile.

Un ulteriore tributo molto introspettivo (scritto in bellissimi versi) è stato scritto da Justin Bold e pubblicato qui su questo blog, con annessa la mia traduzione italiana.


Mi sono appena alzato dal letto, non riesco a dormire. Ero davvero spossato quando mi sono coricato, ma il mio riposo è stato sabotato da una sorta di angoscia.
Non sono più riuscito ad addormentarmi, perciò sono rimasto un po’ in compagnia dell’angoscia e l’ho lasciata decantare. Non è stato difficile, perché non si tratta di un’angoscia di nera disperazione, e mi sono prontamente reso conto di essere semplicemente sopraffatto da un cocktail di impressioni da cui sono stato investito durante tutto il corso di questa incredibile settimana, e dalla consapevolezza della velocità con cui è trascorsa, che ricama la gratitudine che sto provando per tutto questo con uno sfondo che ha il grigio colore della mia mortalità: c’è troppo di più di quanto io possa metabolizzare e tutto appare così prezioso che la mia capacità di assimilarlo completamente vacillerà senz’altro. Che cos’è la vita, se di una vicenda così carica di ispirazione sopravviveranno solo pochi fotogrammi nella mia memoria?
Digerire il tutto esigerà disciplina e tempo, ma la cosa migliore che io possa fare adesso è riconoscere che ho bisogno di uno sfogo emotivo e, inspirato dalla meravigliosa poesia di Justin, che mi ha quasi fatto piangere quando, l’altra sera, l’ho ascoltata poco dopo che era stata scritta, sto abbozzando queste righe, in attesa di un momento migliore di condividerle con tutti voi, quando il sole sarà tramontato su questo nostro ultimo giorno e saremo tutti tornati a casa.

Non sono per niente un poeta, perciò mi atterrò alla prosa.

L’ultimo giorno del mio turno di PPP+PP (Nota: il corso online di approfondimento sulla matematica del rischio, tenuto da Raphael) è stato il 24 Febbraio scorso, un giorno in cui l’Europa si è ritrovata sommersa in una crisi che ci ha ricordato che non abbiamo ancora finito di fare i conti con la disgregazione dell’Unione Sovietica e che faremmo meglio a stare attenti a combinarci ulteriori disastri, perché l’orgoglio dello spirito russo è un osso durissimo e, per quanto sanguinarie possano essere le conseguenze del suo scontro con coloro che dirigono l’attuale ordine mondiale -attraverso il loro intermediario ucraino- e nonostante le differenti opinioni che possiamo serbare in cuor nostro sugli individui che recitano su questo palco, in fondo nulla di più che accidenti storici, in discussione c’è il nostro futuro in quanto civiltà.

Uno sguardo di alto livello ed il filosofeggiare su argomenti così tragici, proprio mentre essi tessono la trama della storia, è un privilegio delle persone il cui sangue e quello dei propri parenti non sono in gioco sul fronte del combattimento. Per questo, compostezza e decenza esigono un appropriato grado di sobrietà e di rispetto per le vite umane che cadono da ambo le parti, perciò sarò breve.

Per quanto il diavolo incomba su di noi, mostrandoci la sua faccia più spaventosa sotto forma dello spettro della guerra nucleare, mentre ci viene ricordato che non abbiamo finito di fare i conti con l’impero russo, trovo inevitabile che il nuovo ordine mondiale non possa emergere, se un mondo dovrà ancora esistere per i miei figli, dal testardo rifiuto del risultato della sua ricostruzione. Le parole sugli imperi di un amico libanese appena conosciuto echeggiano nella mia mente mentre pondero questa constatazione e senza pena confluiscono nel riconoscimento di una semplice regola di vita: così come è impossibile, per qualunque individuo, riappacificarsi col proprio passato tentando di ignorarlo, la razza umana non potrà prosperare, per come la conosciamo, se accettiamo la narrativa in base alla quale il passato dovrebbe essere annichilito, invece di riconoscergli il proprio spazio nel presente e, di conseguenza, nel futuro.
Ad un livello simbolico, col quale mi aiuto a cercare un senso negli eventi, che potrebbe suonare buffo alla orecchie delle persone condizionate a guardare al mondo esclusivamente mediante l’illusorio ideale dell’invincibilità delle scienze naturali, come se la dimensione mitica e simbolica dell’esistenza umana fosse una caratteristica accidentale di deprecabili popoli pre-scientifici, intravedo un’ironia pazzesca nel fatto che questa disgrazia stia sottraendo alla nostra società proprio le risorse che provengono dalle profondità della terra. Per quanto ci piaccia pensare di essere tecnologicamente avanzati, l’era digitale ha disperato bisogno che le materie prime di base siano al loro posto, per funzionare. In ultima analisi, ciò che ci vediamo sottratto è la nostra connessione con il passato e con le sue conseguenze, i sintomi più chiari della nevrosi.

Trovo perciò confortante partecipare ad aventi in cui un matematico che ha studiato con Vladimir Arnold e afferma di non essere mai riuscito ad uscire dalla sfera di influenza di Kolmogorov, mentre ci mette in guardia dalle fantasticherie di un’infinita capacità predittiva, tracciando un’analogia con una testa mozzata che rotola per strada in un romanzo ambientato a Mosca da uno dei più illustri figli di Kiev e che vede il Diavolo stesso come protagonista.
Mentre mi preparo a riprendere la mia seconda lettura dei Fratelli Karamazov ed un relatore brillante con un forte accento francese mi fa notare che la nostra società non può funzionare senza un’industria assicurativa, prendo altresì nota che il riconoscimento che non ci si possa assicurare contro e proteggere dai rischi sistemici è parte della nostra cultura economica, sebbene non riusciamo a comportarci coerentemente al medesimo riconoscimento, se traslato sul piano esistenziale. Ciò mi conduce a chiedermi se lo spirito cinico di Ivan Karamazov finirà per avere la meglio in noi e vagheggeremo l’omicidio di ciò che ci ha generati, lasciando che altri ne portino la colpa.

Un’occhiata nuova ai metodi dell’intelligenza artificiale, presentata ancora una volta con un simpatico accento da un appassionato francese che non ha uno smartphone, una panoramica notevole sulla finanza e sugli investimenti in arte basati sulla tecnologia blockchain, forniti da un hacker slovacco e da un imprenditore italiano, ricaricano le mie batterie di entusiasmo, preparandomi a tornare ad occuparmi di questi argomenti che ho così a lungo trascurato. Ora che la stagione estiva è terminata, gli alberi si spogliano e nuotare nella piscina dell’hotel è al limite fra l’essere piacevole e raggelante, queste meraviglie della creatività umana riaccendono in me l’entusiasmo ingenuo, in stile Alësa (Nota: fratello di Ivan Karamazov nel romanzo di Dostoevskij, ha la parte del buono della famiglia.), per quel mondo scientifico di cui mi sono innamorato 17 anni fa, quando ero l’adolescente che ormai è sparito in me.

Mentre un saggio uomo cinese mi apre gli occhi sui costumi della sua patria, finisce per contemplare con me, davanti a un bicchiere di vino, il paradosso per cui, dopo essere entrato in un monastero per sperimentare un genere di vita differente, potremmo desiderare di restarci per sempre…il modo più drastico di far davvero mandare a gambe all’aria sé stessi (ma non il proprio Sé), ma con un sereno sorriso nel cuore e in pace col mondo, il genere di pace che mi manca da tanto tempo e che bramo, nonostante un nuovo amico che proviene esattamente dai miei antipodi mi ricordi di tutte le opzioni a mia disposizione e mi dia un affettuoso arrivederci con la più emozionante fra le poesie.

Apparentemente, avere tante opzioni per il futuro funziona solo fino a un certo punto: devi prima essere in pace con quella che è stata la tua traiettoria passata finora.

È legge che l’unicità della traiettoria personale debba esigere il suo tributo e che la si chiami il nostro destino.
L’amor fati è la più alta virtù dell’uomo che coltivi un sano rispetto della propria mortalità.

Ringrazio il mio destino per avervi condotto tutti qui.
È stato un onore ed un privilegio essere al servizio di tutto questo.

Mirko Serino

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